Filosofia
e cosmogonia in Keplero - socio fondatore
Dott.ssa Maristella Mameli
« ... Johannes
Kepler, latinizzato Keplero, nacque il
27 dicembre 1571 a Weil, vicino a Stoccarda. Da Caterina Guldenmann, figlia
di un oste, e da Enrico, funzionario di religione luterana, al servizio
del Duca di Brunswick, che partì con la moglie come mercenario contro
i Belgi nelle schiere del Duca di Alba, lasciando il figlio in tenera età
ai nonni. Di salute delicata, Johannes sopravvisse al vaiolo, che gli lasciò
però le mani danneggiate e una vista debole.
Keplero lavorò nell’osteria, che i genitori
avevano aperto al ritorno dalla guerra, e coltivò persino i campi.
Cominciò la scuola a Leonberg nel 1577. Le sue capacità indussero
i familiari a farlo studiare presso il seminario di Adelberg (1584), poi
a Maulbronn, e dopo quattro anni all’Università di Tubinga. Qui
ebbe come maestro l’astronomo e matematico
Michele Mastlin, che gli fece conoscere approfonditamente il sistema copernicano.
Era un momento di grande tensione tra cattolici
e protestanti, e Keplero, protestante, non ne condivideva le motivazioni,
che riteneva assurde, né apprezzava l’atteggiamento “stolto” dei
teologi. Mutò quindi il suo iniziale indirizzo teologico e l’intento
di realizzare una carriera in campo ecclesiastico. Nel 1594 divenne matematico
provinciale della Stiria e si dedicò allo studio scientifico.
Due anni dopo pubblicò la
sua prima grande opera il Prodromus
o Mysterium cosmographicum,
in cui relazionava i cinque solidi regolari
con il numero e le distanze dei pianeti allora conosciuti, con prefazione
del suo insegnante Mastlin. Copie furono
inviate a Brahe e Galilei.
Da Brahe ebbe l’invito di rivedere il sistema
ticonico alla luce delle sue scoperte,
da Galilei un’interessante risposta, nella quale si esprimeva il rammarico
per il clima di derisione e stoltezza verso le ipotesi copernicane, e verso
la ricerca della verità.
Già questo testo mostra la prima scoperta
di Keplero, che fornisce la motivazione per abbandonare il sistema tolemaico
ed accettare il sistema di Copernico, mostrando che se si guardano dalla
Terra gli epicicli tolemaici dei pianeti esterni, questi si vedono sotto
lo stesso angolo da cui è vista l’orbita terrestre da un punto nell’orbita
di ciascun pianeta considerato, dimostrando anche, come questo spieghi
le dimensioni dell’epiciclo di Marte, di Giove, e di Saturno. Risponde
quindi a domande che il sistema tolemaico lasciava irrisolte, poiché
escludeva il moto annuo della Terra.
Keplero tenta, in questo libro, di trovare la
legge che relazioni le distanze dei singoli pianeti dal Sole. Come
Copernico, anch’egli fu un neoplatonico,
ed ebbe ben in mente il Timeo, quando tentava di cogliere l’ordine universale.
Un neoplatonismo con forti influssi pitagorici,
emergenti dal ruolo, attribuito alla matematica.
Precise regole matematiche ordinavano, secondo
lui, la natura, ed il compito dello studioso
era quello di comprenderle. Riteneva, con grande soddisfazione, di averle
scoperte e di consegnarle al mondo nella sua opera, nella quale, la sua
fiducia nel sistema scoperto da Copernico e nell’esistenza di una Mente
matematica, si dimostrava ben riposta.
I cinque solidi, citati nel Mysterium, erano
quelli regolari, platonici o cosiddetti cosmici. (67)
Keplero immaginò l’universo come una enorme matrioska in cui i solidi
erano disposti uno dentro l’altro progressivamente, e tra ciascuno di essi
erano site le sfere di ciascun pianeta. Nella parte più esterna
era la sfera di Saturno, seguita dal cubo nel quale si trovava la sfera
di Giove, il tetraedro, la sfera di Marte, e, a seguire il dodecaedro,
la sfera della Terra, l’icosaedro e la sfera di Venere e l’ottaedro con
la sfera di Mercurio. In tal modo si sarebbero potute dimostrare le dimensioni
delle singole sfere e la conseguente ragione della sola esistenza dei sei
pianeti.
Nella certezza di un Dio matematico e di una
natura regolata da leggi coglibili, Keplero riteneva, che fosse data all’uomo
la possibilità di leggere il disegno divino.
La semplicità del sistema era il segno della verità, e questa
s’identificava con l’armonia e la bellezza.
Il demiurgo del Timeo, che geometrizza l’esistente,
vince la tradizione aristotelica e una concezione medievale della natura
da essa dominata. Il profondo e mistico
pitagorismo del nostro studioso si coglie, quando collega le distanze dei
pianeti dal Sole ai rapporti numerici delle corde vibranti della lira.
Infatti chiama il sistema solare Lyra Apollinis, immaginando un accordo
cosmico nel quale, ogni pianeta, nella
sua evoluzione, canti una delle sette note della scala musicale.
La matematica in una veste ascetica, oltre
che quantitativa, è la chiave per la comprensione.
E’ da rilevare, che la concezione di una natura sistematicamente semplice
non è sempre presente da un punto di vista storico. Simplex sigillum
veri, non è accettabile in un contesto medievale, né lo sarà
per il Romanticismo, ove una natura indomita e matrigna sarà difficilmente
comprensibile per l’uomo da essa sovrastato.
Là dove domina Bacco e il mistero, l’uomo
si sente inerte e incapace di capire, talora sfiduciato, talora forte del
suo limite, accetta l’impossibilità di dare risposte certe. La fiducia
nella scienza e nella missione, affidata all’uomo da un Dio benevolo, permettono,
invece, di non temere di perdersi nella contemplazione, e nella pervicace
finalità di svolgere il compito di capire, e interpretare la creazione.
Pitagora, Platone e il pensiero cabbalistico
forniscono gli strumenti, e condividono con Keplero un mondo ordinato,
strutturato geometricamente; un universo
mitico ed ideale, a cui Keplero attribuisce giudizi di valore.
Solo le misurazioni perfette di Brahe, lo costringeranno
a desistere dalla teoria della perfezione circolare del moto astrale, e
a piegarsi al moto ellittico, mentre affrontava
il problema del moto irregolare di Marte, ancora irrisolto, al quale lavorò
indefessamente per dieci lunghi anni, e di cui ci ha lasciato un’entusiasmante
descrizione. Il moto ellittico forniva la risposta, e la teoria combaciava
finalmente con i dati empirici, infatti i pianeti si muovevano in orbite
a velocità variabili, determinabili tramite una semplice legge.
Trovata la soluzione matematica, si sgretola
definitivamente il dogma del moto circolare perfetto.
Il 1597 è l’anno del suo matrimonio e poco
dopo cominciano le espulsioni dalla Stiria dei protestanti, in seguito
alla visita dell’arciduca Ferdinando al papa Clemente VIII.
Nell’agosto del 1600 Brahe lo chiama a Praga,
nominandolo suo assistente. Dopo neanche un anno (ottobre 1601) Tycho muore,
e l’imperatore Rodolfo II promuove Keplero
“matematico imperiale”, con il compito di portare a termine le tavole rudolfine,
dandogli uno stipendio inferiore della metà a quello di Brahe.
E’ del 1604 l’opera Ad Vitellionem paralipomeni,
di ottica geometrica, molto importante per lo sviluppo di questo campo.
In undici capitoli si dà una definizione della luce completamente
nuova, e si fa pervenire la luce fino alla retina riconoscendo la figura,
proiettata su di essa, capovolta.
Nel 1609 esce l’Astronomia Nova,
aperta da una lettera a Rodolfo II. In questa, che è l’opera più
importante, studia il moto di Marte ed
espone quelle che sono considerate le prime due “leggi di Keplero”.
In questo libro cogliamo tutta l’importanza attribuita
al Sole (68),
- considerato magnetico (69),
rifacendosi probabilmente agli studi di William Gilbert, - e lo sforzo
compiuto per spiegarne il ruolo. E’ il
Sole a muovere i pianeti, poiché
ha in sé una species che, può sembrare, scaturisca da qualcosa
di divino, comparabile solo alla nostra anima. (70)
Il Siderius Nuncius di Galileo
che, per le molte scoperte contenutevi, fece un enorme scalpore, è
invece del marzo 1610, e una copia fu
inviata dall’autore a Keplero tramite Giuliano de’ Medici, all’epoca ambasciatore
di Toscana a Praga. La reazione di Keplero
fu dapprima di disapprovazione, il suo
neoplatonismo non accettava che fosse messo in ombra il ruolo primario
del Sole. L’onestà intellettuale dello studioso emerse però
quando, grazie al cannocchiale, inviato da Galilei ad Ernesto di Baviera,
e da questi consegnato a Keplero, egli dovette confermare le scoperte del
collega riguardanti i satelliti di Giove. Proclamò quindi l’importanza
del cannocchiale, che da taluni, fra cui Martino Horsky da Lochovic, (71)
era ritenuto indegno della filosofia e per niente utile.
Nel 1611 esce la Dioptrice di Keplero, cioè
la dimostrazione di tutto ciò che si poteva osservare col cannocchiale
e non era mai stato visto prima. Tale
studio apre una nuova strada all’osservazione, compiuta con il nuovo strumento,
soffermandosi sull’impiego e la funzione dei diversi tipi di lenti, e conferendo
autonomia alla scienza ottica.
Nel 1611, dopo l’abdicazione di Rodolfo II in
favore del fratello Mattia, Keplero andò a Linz, al servizio dei
governatori dell’Austria superiore, ma diverse vicissitudini personali,
fra cui la morte di un figlio e della moglie, l’accusa nei suoi confronti
di non essere ortodosso e la negazione dei sacramenti, ne turbarono la
serenità.
Risposatosi, nel 1613 pubblicò la Nova
stereometria doliorum vinariorum, in cui risolve un problema estremamente
importante per l’epoca, cioè la determinazione del contenuto delle
botti, impiegando un metodo che si avvicina molto al calcolo infinitesimale.
Nel 1616 una nuova disgrazia si abbatte su di
lui, cioè l’accusa di stregoneria nei confronti di sua madre. Dovette
lottare contro la facoltà giuridica di Tubinga, ma alla fine (1621)
ebbe la meglio e sua madre fu assolta, anche se morì poco dopo a
causa delle torture e delle privazioni, a cui era stata sottoposta durante
la detenzione.
In quegli anni aveva intanto pubblicato il
suo testo di astronomia, in sette libri, Epitome Astronomiae Copernicanae,
(72) ove estende
le prime due leggi, alla Luna, agli altri pianeti e ai satelliti di Giove
e Harmonices mundi libri V, dove espone la sua Terza legge.
E come già detto precedentemente nell’Epitome
riprende il tema del Sole,
e nuovamente ne esalta la bellezza e la dignità. Focolare del mondo
e portatore di calore e di luce, illumina l’esistenza umana, e rappresenta
una forza motrice, simile ancora a quella magnetica, che muove tutti i
corpi celesti. E nel suo Somnium espone
una teoria, in base alla quale le maree si giustificherebbero con l’attrazione,
compiuta dal Sole e dalla Luna, sulle acque terrestri.
Nel 1627 giunge finalmente alla conclusione
delle Tavole rudolfine, che sono costituite da tavole di logaritmi,
tavole per calcolare la rifrazione, e un catalogo delle 777 stelle osservate
già da Tycho Brahe, con altre, fino ad un numero di 1005.
Nel 1628 Keplero va a Sagan, cittadina della Slesia,
al servizio di Albrecht Wallenstein, duca di Friedland, dove doveva stampare
le effemeridi fino al 1626. Purtroppo però Wallestein si ritrovò
in difficoltà finanziarie, e quindi Keplero decise di recarsi presso
la Dieta di Ratisbona, per avere il pagamento che gli spettava, ma il viaggio
fu così faticoso che si ammalò e morì, colto da febbre,
lontano dalla sua famiglia e, in quanto luterano, sepolto fuori dalle mura
della città.
Il fascino del pensiero di Keplero consiste
in una fede filosofica, che certo non ritroviamo in Brahe, e in una profonda
fiducia nelle capacità dell’uomo e nel suo compito.
La contemplazione dell’universo è una contemplazione
del divino stesso, ma il compito dell’uomo non è solo questo. Egli
è stato dotato della capacità di capire, e dei mezzi necessari,
la ragione e i sensi, per soddisfarla. Keplero
rappresenta una strana figura di scienziato, deontologicamente inattaccabile,
intellettualmente lucido e umanamente sensibile ed onesto, e nel contempo
mistico e profondamente religioso, anche se non ortodosso.
L’astronomia è il suo credo, necessità e dovere dell’uomo
saggio: vi coglie non solo la realtà materiale, ma anche tutto un
universo valoriale e profondamente religioso.
Un’immagine del mondo estremamente divinizzata,
nella sua perfezione, o nella fede in
questa, alla quale conferisce un’anima,
come l’anima motrix al Sole, il corpo
più importante dell’universo secondo l’antico pensiero ermetico.
Una realtà ordinata, a cui il matematico
può giungere interpretandola correttamente. Ed ecco Pitagora e lo
scienziato del Seicento in un unico individuo
… »
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67 |
La regolarità è data
dalla ripetizione in ciascun solido della stessa faccia equilatera.
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68 |
Secondo il pensiero dei pitagorici, riportato
nel De caelo, al centro dell’universo è posto il fuoco e non la
Terra. Keplero doveva conoscere molto bene questo testo, tanto più
che nell’Astronomia Nova si ricollega ad un episodio, registrato da Aristotele,
riguardante il passaggio della Luna in fase di metà davanti alla
stella Marte, e del quale azzarderebbe la datazione al 4 aprile del 357
a.C. Cfr. Aristotele, De caelo, 293a- 293b e 291b-292a.
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69 |
Il capitolo XXXIV s’intitola infatti: Corpus
SOLIS esse Magneticum, & in suo spacio converti.
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70 |
“De illa itaque, quae corpora PLANETARUM proxime
attingit & trahit, quomodo comparata, quomodo luci cognata sit, &
quid sit in suo esse Metaphysico. Sequitur ut indice hac defluente specie
(ceu archetypo) ipsam etiam penitiorem fontis naturam contemplemur. Videri
namque possit in corpore SOLES latitare divinum quippiam, & comparandum
animae nostrae, ex quo effluat species ista PLANETAS circumagens, uti ex
anima jaculantis lapillos species motus in lapillis adhaerescit, qua provehuntur
illi, etiam cum qui jaculatus est manum ab illis reduxit. Atqui sobrie
progredientibus paulo aliae cogitationes suppeditabuntur.”. Astronomia
Nova, cap. XXXIV, 173.
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71 |
Horsky aveva assistito nel 1610 a Bologna alla
dimostrazione di Galilei, tenuta con l’impiego del cannocchiale a casa
del professore di matematica Antonio Magini, avversario di Galileo, e aveva
scritto successivamente una lettera a Keplero, in cui criticava l’impiego
del cannocchiale, oltre che il fallimento di tale mezzo.
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72 |
L’Epitome Astronomiae Copernicanae fu edito in
tre parti nel 1618, 1620 e 1621.
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