Filosofia
e cosmogonia in Newton - socio fondatore
Dott.ssa Maristella Mameli
« ... Isaac
Newton nacque nel 1643. Studiò
nel Trinity College di Cambridge. Ebbe come insegnante di matematica Isaac
Barrow (1630-1677), autore delle interessanti Lectiones mathematicae, che
resosi conto delle doti dell’allievo, lo incoraggiò a proseguire
sulla strada dello studio, che lo aveva già portato alla conoscenza
del calcolo delle flussioni, cioè il calcolo infinitesimale, che
utilizzava già per risolvere alcuni problemi di geometria analitica.
Si allontanò da Cambridge solo negli anni
della peste, per rifugiarsi nella casetta di pietra in mezzo alla campagna
a Woolsthorpe (1665-1666). Furono anni molto fruttuosi, in cui ebbe la
rivelazione della gravitazione universale. Celeberrimo è l’episodio,
narrato dalla nipote, in cui tale pensiero nacque in seguito alla caduta
di una mela che lo colpì sulla testa, mentre riposava sotto un albero.
Studiò problemi di ottica, che continuò
ad analizzare al suo ritorno a Cambridge, dove costruì un telescopio
a riflessione, che superava i problemi del cannocchiale di Galilei.
Nel 1669 ricevette la cattedra di matematica,
lasciata vacante dal suo maestro, che aveva acquisito quella di teologia.
Analizzò la luce bianca e la scompose
per mezzo di un prisma, e presentò il suo lavoro, tramite l’experimentum
crucis, alla Royal Society, che lo nominò suo membro.
In tale occasione rese pubblica per la prima
volta la sua teoria sulla natura corpuscolare della luce,
in base alla quale l’emissione di particelle di diversa grandezza avrebbe
spiegato numerosi fenomeni luminosi.
Dovette però affrontare l’atteggiamento
polemico di taluni filosofi, che accolsero questa idea come una nuova opinione
filosofica, mentre Newton insisteva che si recepisse la proposta di un’ipotesi,
derivata da una sperimentazione oggettiva, ed utile al fine di spiegare
la realtà. La sua reazione, come accadrà anche in seguito,
fu di pubblicare i risultati del suo studio solo anni dopo la prima intuizione,
nel 1704. In egual modo pubblicò tardivamente i risultati della
sua teoria della gravitazione che, servendosi dei risultati del francese
Jean Picard (1620-1682) sulle misure delle dimensioni della Terra, riuscì
a rendere scientificamente valida.
Agli anni giovanili appartiene anche il suo
interesse per l’alchimia, dimostrato dall’acquisto
di strumentazione adatta a questi studi e al testo, Theatrum chemicum,
di Lazarus Zetner.
E’ del 1684 il celebre incontro tra Halley,
Wren e Hooke, che coinvolse Newton, e
a cui seguì la pubblicazione dei Philosophiae
Naturalis Principia Matematica.
In questa importantissima opera spiegava la
teoria di Keplero sulla tesi copernicana, per mezzo dell’ipotesi di una
gravitazione verso il centro del Sole decrescente secondo l’inverso dei
quadrati delle distanze e proporzionale alla quantità di materia
solida dei pianeti.
Questo libro è l’armonizzazione di tutte
le teorie precedenti, unendo Copernico, Cartesio, Keplero e Galilei in
un unicum, in cui finalmente viene spiegato il grande libro della natura.
Partendo da una visione corpuscolare della realtà, si usa la matematica
per capirne la struttura.
Tramite tre leggi, le tre leggi del moto, Newton
spiega la struttura del sistema dell’universo, e introduce i concetti di
tempo e di spazio assoluti, che consentono
una più precisa definizione di stato di quiete e di moto relativi.
Molto criticati, non sono empiricamente verificabili,
ma è all’interno dello spazio assoluto, che Newton dice si trovi
l’insieme dei corpi celesti, tenuti dalla forza di gravità.
Nel terzo libro dei Principia
espone quindi la legge di gravità, con la quale fornisce
una spiegazione per il vincolo, che lega la Luna alla Terra, e la Terra
al Sole, oltre che il fenomeno delle maree.
Grazie ad essa spiega quindi il moto dei pianeti,
delle comete, e di tutti i corpi astrali, e il movimento di precessione
della Terra.
Finalmente il moto ellittico dei corpi celesti
è esplicitato, e giustificato da una forza, che li vincola ad interrompere
quella linea retta, che per inerzia traccerebbero.
Possiamo dire, che è con queste asserzioni, che viene definitivamente
sconfitto il mito del moto circolare, con il quale, fino a questo momento,
tutti i ricercatori si erano trovati a trattare.
Nel 1689 Newton fu nominato deputato, come rappresentante
dell’Università di Cambridge, ed è di quell’anno l’inizio
della sua amicizia con John Locke.
Nel 1692 pubblicò i primi risultati
del suo calcolo infinitesimale, continuando a coltivare il suo nuovo interesse,
la chimica. La distruzione del suo laboratorio
e di molto del suo lavoro, in seguito ad un incendio, gli causò
un forte esaurimento nervoso, da cui si rimise nel tempo, ma forse mai
completamente.
Dal 1696 inizia un nuovo periodo della sua vita
dedicato ad un’attività pubblica di prestigio: divenne direttore
della Zecca e nel ‘99 governatore. Nel 1703 fu eletto presidente della
Royal Society e pubblicò la prima edizione dell’Ottica e la seconda
dei Principia.
Le sue lezioni di algebra sono del 1707 (Aritmetica
Universalis) e quelle di ottica del 1729 (Lectiones Opticae).
Nel 1727 al ritorno da Londra, ove aveva presieduto
una seduta della Royal Society, ebbe un malessere. La situazione si aggravò
rapidamente e fu colto dalla morte nella sua casa di Kensington il 20 marzo
1727, e sepolto nell’Abbazia di Westminster, dopo un solenne funerale a
cui partecipò anche Voltaire.
Il lavoro intellettuale di Newton, nel corso della
sua vita, fu ampio e completo. Il suo interesse
nell’ambito della natura, per quanto preciso e settoriale, non trascurò
considerazioni di tipo teologico e concetti filosofici, che furono base
e stimolo valoriale del suo impegno di ricercatore.
L’insegnamento di Cartesio era stato appreso
profondamente, e aveva lasciato un’eredità, che Newton non solo
riuscì a recepire, ma anche a rielaborare.
La sua limpidezza di pensiero si coglie nella
chiarezza del procedimento da lui costruito, che inizia con l’esposizione
del metodo, costituito da quattro regole, citate nel terzo libro dei Principia,
e che ci esplicitano come condurrà la ricerca e in che cosa consisterà.
Queste norme metodologiche presentano assunti metafisici sulla natura,
e conseguentemente sull’universo.
Nella prima regola
recupera la concezione della natura, già kepleriana, intesa come
costruzione semplice, nella quale nulla è fatto invano, né
tanto meno complicato (84).
Nella seconda
regola presenta l’assioma dell’uniformità
della natura, per cui agli stessi effetti dobbiamo assegnare le stesse
cause (85).
Nella terza
si ribadisce il concetto dell’uniformità naturale della realtà
nella considerazione delle qualità dei corpi, che se non ammettono
né aumento né diminuzione di grado, e appartengono a tutti
i corpi nell’ambito dei nostri esperimenti, devono essere ritenute qualità
universali (86).
Enuncia quindi la teoria corpuscolare dei corpi,
in base alla quale ogni oggetto è costituito da particelle di cui
non possiamo enunciare nulla più che la loro esistenza, ma per le
quali nasce immediatamente un quesito riguardante la loro natura e la loro
ulteriore divisibilità. Newton argomenta che le nostre menti sono
in grado di concepire parti ancor più piccole, come accade in matematica,
ma che non c’è possibile distinguere se queste possano essere divise
“per mezzo dei poteri della natura”. In rispetto del concetto di uniformità
però, qualora un unico esperimento desse prova che fosse possibile
dividere una qualunque particella, dovrebbe essere considerata norma la
divisibilità infinita delle medesime.
Egli si ferma evidentemente di fronte al limite
dei sensi e all’incertezza della verificabilità, se non nel presupposto
ontologico della semplicità e uniformità della natura.
Nella quarta regola
enuncia che nella filosofia sperimentale le proposizioni inferite per induzione
generale dai fenomeni devono essere considerate vere e vicinissime alla
verità, nonostante le ipotesi contrarie (87).
Alla fine dei Principia, Newton espone lo Scholium
generale, dove spiega l’origine di questo mondo, ordinato semplicemente
e rinvenibile induttivamente, come la realizzazione del disegno di un Essere
supremo, un’Intelligenza divina, come è dimostrato dall’ordine dei
cieli stellati (88).
I fenomeni del cielo e del mare sono spiegati
attraverso il ricorso alla forza di gravità della quale è
necessario però spiegare anche la causa che, a suo avviso, penetra
fino al centro del Sole e dei pianeti, senza che subisca la minima diminuzione
della sua forza.
L’esistenza di tale forza [la gravità]
è attestata dall’osservazione, ma Newton ammette che non ne conosce
né la causa né l’essenza,
poiché non è riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione delle
proprietà della gravità, e quindi non inventa ipotesi.
Con l’espressione “hypotheses non fingo”, cioè
“non invento ipotesi”, Newton imposta un metodo, che si propone di rispettare
solo i risultati dell’osservazione e della sua tangibilità.
E’ per questo che può sostenere l’attendibilità della sua
tesi sulla gravità, pur non potendo dimostrarne l’origine (89).
Risulta curioso che apra una diatriba con i filosofi
che interpretavano i suoi studi sulla luce, come mere ipotesi teoriche,
a tal punto da pubblicarli a quarant’anni dalla scoperta, ma costruisca
il suo sistema sull’assioma ontologico di una natura semplice, ordinata
ed uniforme. Ciononostante, tutto il suo lavoro è impostato sistematicamente
sulle regole che ha stabilito, ed i risultati, a prescindere dagli assiomi
iniziali, sono ricavati esclusivamente dall’indagine sensibile.
Ritiene che le ipotesi sia fisiche che metafisiche
non abbiano alcun posto nella filosofia sperimentale, e quindi ne dichiara
decisamente la condanna.
Finalmente si realizza il desiderio di Pietro
Ramo, che aveva esposto tale necessità a un Tycho Brahe, ben lontano
dall’accettazione e dalla recezione di questo pensiero.
La controllabilità delle congetture è
il sine qua non per leggere la natura e costruire un dizionario attendibile.
Ogni corpo è formato da particelle, e queste sono regolate dalle
leggi della gravitazione e da quelle della dinamica, che danno fondamento
alle leggi di Keplero.
La gravitazione viene definita una forza, un
agente autonomo, che trasmette anche attraverso uno spazio vuoto.
Lo spazio vuoto è uno spazio statico, un luogo svuotato di tutti
gli oggetti. Tale concetto risale a quello di vuoto degli antichi filosofi
naturalisti, dei presocratici e di Platone, dove lo spazio è concepito
come un contenitore, in cui non vi è altro che aria invisibile.
Lo spazio della geometria euclidea è infatti immutabile ed indipendente
dai movimenti, che si realizzano in esso. Solo Einstein con la teoria della
relatività ha posto in questione la validità di questa concezione,
e compiuto un utile modifica nella prospettiva cosmica.
Newton diede il suo apporto anche in campo
matematico, pubblicando già nel
1669 il trattato Methodus fluxorum et seriorum infinitarum, studio
sugli infinitesimi, che lo pose in accesa
polemica con Leibniz, giunto alle stesse conclusioni per altre vie.
Un anno dopo espose una nuova teoria, con la
quale spiegava meccanicamente alcuni fenomeni ottici, pensandoli influenzati
e determinati dallo spazio occupato dall’etere,
le cui variazioni di densità provocavano il cambiamento di direzione
dei corpuscoli di luce in esso sospesi. Tramite questa materia sottile,
egli poté rendere conto di fenomeni quali la rifrazione, la riflessione
e l’inflessione (o diffrazione), ed anche degli anelli di Newton.
Nel 1674 però si convinse che l’etere
non esisteva - abbandonando definitivamente
questo concetto classico -, e attribuì la causa dei fenomeni all’attrazione
tra le particelle.
I contributi di Newton alla scienza sono veramente
molti, e ogni scoperta è un passo avanti utile al tutto. I traguardi
della matematica furono importanti, poiché l’impostazione dell’intero
studio era basata su questa disciplina, e gli studi sulle lenti, sulla
luce e sulla strumentazione ottica giovarono a migliorare e supportare
l’osservazione e rendere valido quanto affermato.
Il nostro autore è un uomo del Seicento,
che mostra già la figura dello scienziato, che su base sperimentale,
e ricercando la legge di validità universale, fornisce all’umanità
la conoscenza della natura.
Non poté però separare il suo
credo religioso e la sua fiducia in un
mondo, costruito secondo i dettami di una filosofia ormai antica, dalla
ricerca meramente scientifica, e questo
fu comunque fondamentale per giungere ai risultati di cui il mondo si servì
successivamente.
Scienziato dunque, ma anche profondamente uomo,
credente e filosofo ... »
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84 |
Regola I:
“Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose
di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni.” Cfr. I. Newton,
Principi matematici della filosofia naturale, UTET, Torino 1977, p. 603.
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85 |
Regola II:
“Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause
vanno attribuite ad effetti naturali dello stesso genere”. Cfr. I. Newton,
Principi matematici della filosofia naturale, op. cit, p. 604.
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86 |
Regola III:
“Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite,
e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile
impiantare esperimenti, devono essere ritenute qualità di tutti
i corpi”. Cfr. I. Newton, Principi matematici della filosofia naturale,
op. cit, p. 605.
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87 |
Cfr. I. Newton, Principi matematici della filosofia
naturale, op. cit, p. 607.
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88 |
“Questa elegantissima compagine del Sole, dei
pianeti e delle comete non potè nascere senza il disegno e la potenza
di un ente intelligente e potente”. Cfr. I. Newton, Principi matematici
della filosofia naturale, op. cit, p. 792.
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89 |
“Le sue riflessioni metodologiche avevano portato
Newton in conflitto con uno degli aspetti più condivisi della scienza
del tempo. Huygens che riconoscerà il valore matematico dei Principia,
giudicherà “assurda” l’ipotesi dell’attrazione. Newton è
più radicale: tutte le ipotesi, in quanto tali, sono “assurde”,
e quindi una vale l’altra”. In M. Mamiani, Introduzione a Newton, Laterza,
Roma-Bari 1990, p. 91.
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