Filosofia
e cosmogonia in Tycho Brahe - socio
fondatore Dott.ssa Maristella Mameli
« ... Tyge
Brahe, latinizzato Tycho, nacque in Danimarca
nel 1546 e morì nel 1601. Protetto da Federico II di Danimarca,
ebbe in dono dal sovrano l’isola di Hven
nello stretto di Copenaghen, oltre a uno stipendio, che gli concesse una
grande autonomia di studio e di ricerca. Ebbe una disponibilità
economica che gli permise di costruirsi un castello, un osservatorio, laboratori
e persino una stamperia privata. Per vent’anni, dal 1576 al 1597, si dedicò
all’osservazione degli astri con l’aiuto di numerosi assistenti.
Il successore di Federico II non fu però
così generoso, e Brahe si trasferì quindi alla corte imperiale
di Rodolfo II, in cui erano ospitate le
migliori menti dell’epoca, e visse in un clima ricco di fermenti culturali,
non toccato dalla censura e dalla chiusura della Controriforma (61).
Da Copernico non vi era stato progresso in ambito
astronomico, e qualcuno cominciò a teorizzare la necessità
di un approccio diverso. Brahe aveva capito
la necessità di nuovi dati osservativi
e ritenne fondamentale impegnarsi per costruire strumenti,
che migliorassero la percezione e potenziassero le facoltà umane.
Un atteggiamento estremamente aperto per l’epoca, che lo spinse a creare
macchinari di eccezionale grandezza e precisione, con i quali poté
lasciare informazioni fondamentali per il lavoro successivo.
Riteneva che si dovesse partire dalle ipotesi
per costruire una corretta visione dell’universo, ma non accettò
la tesi di Copernico. Tenne infatti accesi
dibattiti col copernicano Rothmann (62)
sia sul moto della Terra, che sulla gravitazione dei corpi, convinto
dell’immobilità terrestre.
Non accettò neanche il sistema tolemaico,
in quanto le sue osservazioni sul pianeta Marte in opposizione, lo convinsero
che questo era più vicino alla Terra che il Sole, entrando in conflitto
con la teoria tolemaica, che sosteneva l’opposto.
Tuttavia, come sostiene Dreyer, il suo sistema
era identico a quello copernicano e tutti i calcoli relativi alle posizioni
dei pianeti erano le stesse. (63)
In tal senso viene stimato un uomo di compromesso:
mantenne la Terra al centro dell’universo,
immobile, non andando contro le Scritture, la cui testimonianza costituiva
per lui una prova reale (64),
e fece girare i cinque pianeti (65)
intorno al Sole, loro re. Non
fu quindi il sistema ticonico a sconvolgere e a modificare il corso futuro
degli eventi, ma l’attenzione che egli dedicò alle comete,
che fino ad allora non erano state tenute in considerazione dagli astronomi.
Fondamentale fu lo studio del movimento di
una cometa, avvenuto nel 1577. L’oggettiva
difficoltà a calcolarne la piccola parallasse, lo portò a
credere sostenibile, che la distanza di questa fosse maggiore di quella
di Venere. Un risultato eccezionale, che
dava a questi fenomeni la dignità di corpo celeste, sfatando
il mito aristotelico che li riteneva di natura atmosferica.
Era convinto quindi, che questa cometa, ruotando
attorno al Sole e avendo un’orbita esterna a Venere, fosse più lontana
della Luna e intersecasse, nel suo moto, le traiettorie degli altri pianeti.
L’implicazione di questa tesi era la distruzione
definitiva della cosmologia tradizionale, che concepiva il moto dei pianeti,
sostenuto dall’esistenza corporea di sfere cristalline. In tal senso superò
anche Copernico, che non aveva rinunciato ad esse.
Inoltre crollò anche il moto celeste,
inteso esclusivamente come circolare, anch’esso dogma aristotelico, poiché
affermò che la cometa si muoveva creando una “figura oblunga” (66),
cioè ovale. Il peso di tale considerazione
fu notevole, in quanto la circolarità del moto era stata attribuita
come sinonimo di perfezione del creato.
Per l’osservatore la tradizione filosofica
non costituisce più un ostacolo, non troviamo più né
il neoplatonismo di Copernico né l’aristotelismo di Tolomeo.
Viene abbattuto l’ultimo ostacolo delle ipotesi,
che avevano cristallizzato la storia dell’astronomia, e ne avevano ostacolato
lo sviluppo nel tempo.
Il potere della tecnica e dell’osservazione
vincono, non nella scoperta della verità,
ma in un nuovo atteggiamento che produrrà frutti nel futuro. L’homo
novus, lo scienziato, è ora un osservatore, che usa la tecnologia
e comincia a lavorare sulla strumentazione, per superare i propri limiti
fisici e biologici.
In Brahe ritroviamo il grande apporto del pensiero
rinascimentale, il pensiero scientifico come acquisizione di dati esperienziali
… »
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61 |
Solo nel 1600, poco prima della sua
morte, il progetto di una ricerca da svolgersi in Italia ed in Egitto,
fu impedito dall’accusa, rivoltagli dai frati Cappuccini, di aver consigliato
l’imperatore di cacciar loro da Praga. Cfr. M. Bucciantini, Galileo e Keplero.
Filosofia, cosmologia e teologia nell’Età della controriforma, Einaudi,
Torino 2003, pp. 84 -92.
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62 |
Christopher Rothmann, che ebbe una fitta corrispondenza
con Tycho Brahe, era l’astronomo del Langravio Guglielmo IV di Hesse-Cassel.
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63 |
J.L.E. Dreyer, Storia dell’astronomia da Talete
a Keplero, Feltrinelli, Milano 1970, p. 340.
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64 |
Dalle sue lettere emerge, che egli riteneva che
Mosè e i profeti avessero notevoli conoscenze astronomiche. Epistulae,
p. 148.
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65 |
Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno.
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66 |
Tycho Brahe, De mundi aetherei recentioribus
phaenomenis liber secundus, 1588.
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