Mezz'ora dopo il via, dato col botto del cannone, i grandi velieri di dodici
Paesi, partiti per primi nella regata di Colombo, erano ancora lì,
praticamente fermi. Un'ora dopo si erano disposti di traverso alla brezza
che veniva da ponente, ma ci voleva altro per smuoverli, e avevano percorso
sì e no un miglio rispetto all'ideale linea di partenza stesa tra
il caccia "Ardito" e la fregata "Libeccio". Una sottile, fastidiosa delusione
correva tra la folla che aveva accelerato il pranzo pasquale, per seguire
la festa in mare.
Ma che cosa succede, non vanno? Le domande dei più impazienti,
davano voce alle diffuse perplessità. Solo i camoglini non si scomponevano
e guardavano con sufficienza i "foresti"; gente abituata alle corse, anche
in mare, stentava ad accettare l'idea che un tre alberi maestoso quanto
pesante come l' "Amerigo Vespucci" può raggiungere in navigazione
un massimo di 10 nodi, circa venti chilometri l'ora, solo con un forte
vento di poppa; mentre non si muove o quasi con una brezza leggera come
quella che soffiava alla partenza. Ben diverso è il caso dei maxi-yacht,
vere macchine da corsa, che filano a 25 nodi e rispondono al minimo alito
di vento, con l'enorme velatura che si ritrovano su uno scafo ultraleggero,
sottile. Non a caso queste "formula uno" concepite per le alte velocità,
con materiali e tecnologie futuribili, pur partendo 20 minuti dopo, si
sono presto lasciate sulla scia le "tall-ships", le antiche navi-scuola,
cariche del fascino e del peso del passato.
"La regata non è il nostro mestiere", avverte il comandante della
"Vespucci", capitano di vascello Giancarlo Schiavoni; comunque ce la metteranno
tutta anche loro per cercar di vincere. Sarà dura, visto come sono
partiti decisi sia lo "Young Endeavour", il veliero australiano con parecchie
belle ragazze nell'equipaggio, sia l' "Alexander Von Humboldt", tre alberi
della Marina militare tedesca, l'unico a staccarsi dalla banchina con la
bella velatura verde, già alzata. Al di là degli incerti
esiti sportivi (i primi dispacci dal caccia "Ardito" di scorta alla flotta
delle vele, danno i concorrenti in gruppo, come si dice per i ciclisti,
tra Montecarlo e Sanremo, dopo le prime 24 ore), la grande regata ha aperto
in modo coerente e convincente le Colombiane genovesi. Spettacolo nello
spettacolo, era il pubblico che seguiva da terra (armato di binocoli e
teleobiettivi), dal mare (su centinaia di barche, barconi, barchette a
fare ala), e anche dal cielo (tutto uno svolazzare di elicotteri). Dalle
navi la risposta non è stata meno festosa.
I ventiquattro vascelli maggiori (9 tra i 125 e i 50 metri, 15 sopra
i 30) hanno mollato gli ormeggi in porto al suono degli ottoni di bordo,
delle cornamuse il brigantino "Shabab Oman" (Gioventù dell'Oman),
così come si conviene su una barca con ufficiali inglesi ed equipaggio
dalla pelle scura e turbante in testa. Poi è cominciata la parata,
dalla Lanterna fino a Camogli, con gli uomini schierati in coperta e sui
pennoni, anzi sui "marciapiedi", come si dicono in gergo le grosse corde
sulle quali i marinai stavano un tempo, e ancor oggi, a piedi nudi, per
sciogliere o arrotolare le vele.
E in questa sfilata d'epoca, la "Vespucci" ha offerto un'autentica chicca
per gli intenditori con il suo "giardinetto", nome rimasto tuttora agli
spazi laterali di poppa, a ricordo dell' uso antico, quando era adibito
al trasporto di piante esotiche o dei vasi col basilico sulle navi genovesi.
Ebbene il "giardinetto" dello splendido veliero italiano era proprio verde,
come la più rigorosa tradizione comanda. L'ultimo saluto è
stato dedicato a Camogli, "città dei mille velieri" fino all'Ottocento,
con un'accostata di brigantini e golette, cui rispondeva ogni volta da
terra una salva di cinque botti.
Prospero Schiaffino, presidente dei capitani camoglini, aggiungeva via
radio-Vhf il suo benvenuto e buon vento ai colleghi comandanti: "Qualcosa
di più ci siamo detti con i sudamericani, argentini, uruguagi, colombiani,
messicani: loro, stando alla regola, avrebbero dovuto fermarsi a Cadice;
ed essere giunti fin qui, navigando mille miglia in più, affrontando
il problema non da poco di uscire dal Mediterraneo a vela in questa stagione,
con venti e correnti contrari è una prova dei legami di storia e
di affetto esistenti con Genova e con Colombo, più ancora che con
la Spagna. Un gesto così non si dimentica".
Camillo Arcuri - (21 aprile 1992) - Corriere della Sera
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