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Aristotele 

Nacque a Stagira nel 384/3 sul confine con la Macedonia. Figlio del medico Nicomaco, al servizio del re Aminta in Macedonia, nel 366 a.C. si recò presso l’Accademia platonica ad Atene dove studiò per 20 anni. Conobbe le menti più illustri dell’epoca, fra cui Eudosso. 

Morto Platone (347 a.C.), si recò in Asia Minore ad Asso, ove fondò una scuola con altri platonici. Dopo tre anni andò a Mitilene e collaborò con Teofrasto, occupandosi probabilmente di scienze naturali. Nel 343 a.C. divenne tutore di Alessandro, figlio del re Filippo il Macedone, ed entrò quindi a corte, come già era stato per suo padre. 

Nel 335 a.C. tornò ad Atene dove fondò il “Peritato”. Morì in esilio, nel 322 a.C., a Calcide, ove era fuggito in seguito alla persecuzione, scatenatasi alla morte di Alessandro contro i Macedoni ed i loro collaboratori. 

Egli fu interessato all’analisi dei fenomeni, anche se vagliò e scrisse sui vari campi dello scibile. Distinse tra scienze teoretiche (40), che ricercano il sapere per sé medesimo, scienze pratiche, che ricercano il sapere per raggiungere la perfezione morale, e scienze poietiche o produttive, che ricercano il sapere allo scopo di produrre e costruire. Le prime sono collocate in cima, perché considerate le più importanti. 

Per comprendere il giusto significato attribuito da Aristotele alle scienze e all’esistente, è necessario cominciare da quella ritenuta da lui la più importante e fondamentale, cioè la filosofia prima, successivamente chiamata metafisica, poiché tratta ciò che va oltre la fisica. 


(40) Le scienze teoretiche, come vedremo dotate di maggiore dignità rispetto alle altre, sono: metafisica (di cui fanno parte la filosofia e la teologia), fisica (di cui fa parte la psicologia) e matematica. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Tale scienza, che identifica anche con la teologia, si occupa delle realtà che stanno al di sopra di quelle fisiche. Indaga le cause e principi primi, indaga l’essere in quanto essere, indaga la sostanza, infine indaga Dio e la sostanza soprasensibile. 

Tali compiti sono necessariamente tutti collegati, e perciò investigare sulle cause porta alla scoperta del divino, come d’altra parte porsi quesiti sul sensibile porta al soprasensibile. 

Non legata a necessità di tipo materiale, come invece sono le altre scienze, la metafisica permette l’indagine del sapere allo scopo della pura conoscenza, ed è per questo superiore a tutte le altre anche se non ugualmente utile dal lato pratico. 

Le cause prime a cui questa scienza si dedica sono quattro: causa materiale, causa formale, causa efficiente e causa finale, tenendo ben presente che per causa s’intende “condizione”. 

Le prime due analizzano la realtà staticamente secondo materia e forma, le ultime due invece dinamicamente dal punto di vista della generazione e della finalità. 

Da quanto detto emerge che la metafisica indaga la realtà ontologicamente, ed è per noi utile capire il significato di “essere” secondo l’accezione aristotelica. Lo Stagirita sostiene che l’essere ha molteplici significati, distinti in quattro gruppi fondamentali: categorie, atto e potenza, accidente, vero. Per il nostro studio ci soffermeremo sui primi due gruppi. 

Il primo tratta delle categorie, dieci in tutto, forse in onore dei pitagorici, e rappresentano i significati dell’essere. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Il secondo invece ha implicazioni più complesse che vedremo successivamente. Va detto che i concetti di atto e di potenza sono introdotti per comprendere il cambiamento, senza i quali non si verificherebbe. 

Il testo in cui affronta gli argomenti che riguardano il nostro ambito, è la Fisica, composto da 8 libri, contenente il discorso sui principi, e che è necessario affrontare per studiare le successive teorie sui fenomeni. (41) 

Per Aristotele la base dell’essere è la sostanza. Essa è materia (oule), sostrato della forma (eidos), principio che costituisce il sensibile, potenzialità, ed è forma che rende atto la materia, la definisce, è quod quid est. La sostanza è di due tipi: sensibile e soprasensibile, e quella soprasensibile è certamente incorruttibile, e perciò il tempo e il movimento sono tali. 

E’ la non-generazione che conferisce l’incorruttibilità, e quindi l’eternità al tempo, che altrimenti avrebbe dovuto avere un prima e un poi, che sono comunque tempo. E poiché è il tempo, nella celebre accezione, a determinare il movimento, è anch’esso eterno. 

Usando la coppia atto-potenza, Aristotele riesce invece a spiegare il cambiamento, che è “l’atto di ciò che è in potenza, in quanto tale”. (42) Non tutte le categorie possono essere soggetto di cambiamento, infatti nella sostanza non c’è movimento, in quanto non esiste essere a questa opposto (libro V). Anche se va precisato che un cambiamento seppur anomalo avviene nella sostanza dalla generazione alla corruzione. 


(41) Sulla fisica di Aristotele il Vigna ci dice: “la fisica non è una delle tante dottrine di Aristotele. E’ forse la sua dottrina in senso eminente; quella in cui si può concentrare la forte originalità della sua visione del mondo rispetto alle dottrine platoniche e, in generale, accademiche”. C. Vigna, Invito al pensiero di Aristotele, Mursia, Milano 1992, p. 76 
(42) Fisica, 201a, 10-11 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Nel III libro, in cui analizzerà successivamente il movimento il continuo l’infinito il luogo il vuoto e il tempo, parla del concetto d’infinito, che riguarda solo l’essere fisico, corporeo, ed entra in polemica coi Presocratici, che identificavano la physis come l’essere, tutto intero, e con Platone, che aveva già compiuto la distinzione tra la realtà e non, ma pensava il concetto d’infinito collegato sia alla physis che alle Idee. L’infinito di Aristotele è quantitativo, perciò deve essere analizzato in un contesto fisico. Nessun luogo potrebbe contenerlo, in quanto il luogo è confine, limen, determinatezza. 

Ciononostante questo concetto non può essere invalidato, poiché ha comunque una sua funzione nella spiegazione della realtà, e in tal senso pensa un infinito potenziale, mai in atto. Il tempo, il numero, il continuo non sono infatti infiniti in atto, ma lo sono in potenza. (43) 

Ritornando al significato di luogo, va sottolineato che non è identificato con il termine spazio, che vede proprio del contesto geometrico. Il luogo è un contenitore, e non s’identifica con l’oggetto contenuto, ma con il margine immobile di ciò che contiene. 

Dalla teoria del luogo consegue quella di vuoto che, se esiste, è un luogo privo di corpo, ma questo è impossibile, perciò non esiste, come dimostra il movimento stesso, che altro non è che passaggio da un movimento ad un altro. 

Nel libro VIII, il ragionamento, per spiegare l’esistenza del Primo Motore, parte dalla profonda convinzione che il cielo ha un movimento circolare eterno. Il movimento infatti non può essere generato, non può cioè essere concepito con un inizio, che implicherebbe comunque il movimento di qualcos’altro. Il Principio, il primo motore, non può essere che concepito come immobile, eterno, causa assoluta del mobile, e sempre in atto. Il modo in cui muove è l’attrazione, una forza che porta i corpi a muoversi, senza che siano mossi fisicamente. 


(43) Così dice: “non è ciò al di fuori di cui non c’è nulla, ma ciò al di fuori di cui c’è sempre qualcosa”. Fisica, III, 207a, 1 ss. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Da questo Principio dipendono il mondo e la natura. E’ intelligenza, divinità e perfezione. Nel sistema aristotelico, ereditato da Eudosso e Callippo, una sola sfera muove tutte le altre, che sono ora aumentate in numero di 55. Queste sono mosse ciascuna da Intelligenze gerarchicamente inferiori al Primo Motore, che il Medioevo identificherà con le intelligenze angeliche. 

Le opere invece nelle quali si occupa in modo specifico di astronomia sono il De caelo (4 libri) e il Meteorologica (4 libri). Nel primo libro del De Caelo si interroga sulla finitezza o meno dell’universo e sulla sua origine, forse frutto di una creazione. Risponde che l’universo è certamente finito, poiché non possono esistere corpi a distanza infinita, e che inoltre i cieli non sono stati creati, non hanno principio e sono incorruttibili, qualità inscindibili tra loro, un pensiero nettamente discordante da quello platonico, che era di tipo creazionistico. 

Nel secondo libro afferma che il cosmo ha forma sferica, giustificandone la forma, perché considera la sfera il corpo perfetto ed il solo corpo che, ruotando, occupa sempre lo stesso spazio: un’affermazione evidentemente confutabile, poiché qualunque solido geometrico occupa in rotazione sempre lo stesso spazio. 

Inoltre porta come prova tangibile le eclissi di Luna, nelle quali la linea, che ne segna il limite in ombra, è concava, convessa, diritta, e questa è la dimostrazione che la Terra, che appunto proietta l’ombra, è sferica. Ponendo come assiomatico la perfezione della natura, prosegue sostenendo che la sfera, la più perfetta delle figure, è certamente mossa dal moto più perfetto, che è il più veloce. 

Ogni sfera avrà però una velocità differente e la più esterna sarà la più veloce, quindi necessariamente la più perfetta, perciò essa sarà la forza motrice dell’universo o, per dirla in modo platonico, l’anima cosmica, e trasmetterà il suo potere verso il centro. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Dato che tutto muove, ciò che sta al centro è immobile, tale è infatti la Terra, equidistante da qualunque parte del cosmo, e le cui dimensioni sono molto ridotte, come dimostrano anche spostamenti molto brevi, ai quali segue la visione di orizzonti e stelle differenti. Proprio in conclusione del testo si trova un tentativo di stima della circonferenza terrestre di circa 400.000 stadi, che corrisponde ad un diametro di 20.000 km, e che è il valore più antico di cui disponiamo. (44) Il moto dei cieli procede da est ad ovest, ed è uniforme, senza alcuna variazione, che invece implicherebbe un qualche difetto. Poiché Aristotele associa il moto alla materia, sostiene che le stelle eterne e divine, sono mosse da un moto circolare, proprio dell’elemento primario e superiore, mentre la materia, costituita dai quattro elementi, si muove del moto rettilineo. (45) 

L’elemento, di cui è fatto il cielo, differisce naturalmente dagli altri quattro sopraccitati, ed è chiamato etere. (46) Esso era fondamentale per spiegare il cosmo così concepito, e sostituiva la credenza antica, che le parti superiori del cielo fossero costituite dal fuoco. Il calore e la luce, che a noi paiono emesse dagli astri, sono causate quindi dall’attrito con l’etere. La spiegazione delle comete e della Via Lattea è esposta nei Meteorologica, assieme a tutti i fenomeni atmosferici e terrestri, come i terremoti. (47) Le stelle cadenti, le comete e la Via Lattea sono classificate come fenomeni atmosferici e non astronomici, e questa teoria permarrà a lungo, anzi sarà la sola, che sarà ereditata anche da epoche successive, agendo da freno allo sviluppo del pensiero astronomico. 


(44) Il diametro terrestre è invece di 12.760 km, quindi più piccolo di quanto valutato da Aristotele. 
(45) De caelo, I, 2. 
(46) Ibidem, 270b, 22-23. L’etimologia di etere deriva da aei thein, correre sempre; perché, spiega Aristotele, sempre corre 
(47) Aristotele distingue i fenomeni della regione superiore del cielo, come le stelle cadenti, le comete e la Via Lattea; i fenomeni della regione inferiore del cielo come le piogge, le nuvole, la nebbia la rugiada e la brina, la neve, la grandine; i fenomeni dovuti all’esalazione umida come i fiumi, le sorgenti, il mare, le inondazioni; i fenomeni dovuti alle esalazioni secche come terremoti venti, fulmini, tuoni, lampi, tempeste. Infine tratta fenomeni quali l’arcobaleno, gli aloni, i parelii causati dalla rifrazione o riflessione. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Eraclide ed Aristarco 

Eraclide nacque ad Eraclea, nel Ponto, nel IV secolo a.C. Studiò ad Atene come discepolo di Speusippo e forse anche di Platone e di Aristotele e frequentò, probabilmente, anche la scuola pitagorica (48). Collochiamo la sua vita in questo periodo, poiché ci diede la descrizione del terremoto di Elice, avvenuta nel 373 a.C. 

Riteneva il mondo ed i pianeti di natura divina, e a differenza di Aristotele, il cosmo infinito. Fatto importante, sostenne che la Terra si muoveva intorno al suo asse da ovest verso est in 24 ore. 

Di lui rimangono solo i titoli delle sue opere, riportate da Diogene Laerzio, e quanto ci ha lasciato scritto Simplicio. 

Non sappiamo con certezza se egli pensasse al moto terrestre come qualcosa di reale, o lo proponesse solo come eventualità. 

Fu invece Aristarco che certamente propose la rotazione della Terra intorno al Sole allo scopo di “salvare i fenomeni. Allievo di Stratone, il “fisico”, discepolo e successore di Teofrasto, lo collochiamo temporalmente grazie a quanto riportato sull’Almagesto, nel quale si riporta la sua osservazione del solstizio d’estate del 281 a.C. 

Di lui c’è giunto solo un testo intitolato Sulle dimensioni e la destrezza del Sole e della Luna. Per la sua teoria sul moto terrestre fu soprannominato “il Copernico dell’antichità. 


(48) Diogene Laerzio, V, 26.
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