Platone
Nacque ad Atene nel 428-427 a.C.,
parente del re Codro e di Solone, fu discepolo dell’eracliteo Cratilo e
di Socrate, del quale ci ha lasciato conoscenza nei suoi scritti.
Nel 404 a.C. due suoi parenti (Carmide e Crizia)
fecero parte del governo oligarchico, di cui però non apprezzò
i metodi faziosi. Qualche anno dopo invece, nel 399 a.C., avvenne la morte
di Socrate, condannato dai democratici, che avevano preso il potere, e
fu deluso anche da questi, che peraltro lo costrinsero a trasferirsi a
Megara con altri socratici, per evitare eventuali persecuzioni.
All’età di quarant’anni (388 a.C.) giunse
in Italia, probabilmente per conoscere i pitagorici e la loro scuola,
e fu invitato a Siracusa dal tiranno Dionigi I, con il quale venne in contrasto,
divenendo invece amico di Dione, suo parente. Risale a questo periodo la
sua vendita come schiavo, voluta proprio dal sovrano, e il suo riscatto
da parte di Anniceride di Cirene, che si trovava in quel momento ad Egina.
Tornato ad Atene, fondò
l’Accademia, la sua scuola, che ben presto
divenne conosciuta e richiamò studenti e personaggi illustri dell’epoca.
Morto Dionigi I, andò nuovamente in Sicilia
nel 367 a.C., e qui vi incontrò il figlio, suo erede, che cacciò
Dione accusandolo di tradimento, e trattenne lui come prigioniero per un
certo periodo; ciononostante, nel 361 a.C.,
si recò in Sicilia per la terza volta.
Ritornato ad Atene, Dione lo convinse ad accettare
un nuovo invito del tiranno con la speranza di poter rientrare con lui
in patria, e questa volta Platone sarebbe morto se non fosse stato salvato
dal pitagorico Archita e dai Tarantini.
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Dal 360 a.C. visse ad Atene, continuando il suo
insegnamento fino alla morte, avvenuta nel 347 a.C.
I suoi scritti appaiono in forma dialogica.
A noi ne sono giunti 36, di vario argomento,
e hanno dato agli storici notevoli problemi, a causa della difficoltà
di datazione.
Dai suoi testi non emerge una chiara teoria
sulla configurazione del mondo, e l’unico
testo che possiamo considerare espressamente dedicato alla narrazione della
creazione dell’universo è il Timeo.
Poche notizie possono essere desunte qua e là.
Sappiamo ad esempio dal Fedro che l’universo
è una sfera e si distingue tra l’Iperuranio, collocato al di sopra
della Terra, e l’Infrauranio, il luogo della materia e di ciò che
è fisico.
Nel Fedone si dice che la Terra è immobile
al centro del cielo, è rotonda come una palla di cuoio, divisa in
dodici strisce, e grandissima. Nelle Leggi
Platone dice che un pianeta si muove sempre,
seguendo un’orbita circolare, solo accidentalmente
contraffatta in una spirale. Nella Repubblica invece descrive un macchinario
che muove le sfere celesti, e spiega il moto astrale attraverso la narrazione
di un mito, rendendo l’interpretazione difficile e non esaustiva.
Quando Platone giunge a scrivere il Timeo, ha
già compiuto la “seconda navigazione”, ha già chiaramente
spiegato il concetto di Iperuranio, luogo sovraceleste, dove risiedono
le idee, entità, sostanze, realtà intelligibili, che sono
il vero essere “in sé per sé”.
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E’ il mondo intelligibile, vera causa della realtà,
che ci consente di effettuare il salto qualitativo nella conoscenza della
genesi e della struttura del mondo sensibile.
Da quanto ci riporta Aristotele (36)
sulla lezione di Platone “intorno al Bene”, mai trascritta, coloro che
presenziarono si stupirono di assistere ad una lezione di matematica e
non di etica.
Probabilmente l’influenza pitagorica fu, in
un certo periodo della vita di Platone, molto forte,
e in tal senso si giustificherebbe quanto detto. Il concetto è che
il Bene, fondamento che rende le idee conoscibili, produce l’essere e l’esistente,
è quindi il principio primo, cioè l’Uno. Dobbiamo
pensare ad una natura naturans,
essenza ed ordine, in quanto delimita un secondo principio
che ad esso si oppone, illimitato ed indeterminato, principio
di molteplicità, cioè natura
naturata, denominato Diade o Dualità
di grande e piccolo.
Quindi il numero, il numero Uno, è il principio
di verità e di conoscibilità, perché possiede in sé
la capacità di determinare, limitare e dare ordine e perfezione.
Dare un limite alla materia significa ordinarla, da qui è consequenziale
giungere alla costruzione aritmo-geometrica dell’universo.
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(36) “Questo è ciò che provarono,
secondo quanto era solito ripetere continuamente Aristotele, la maggior
parte di coloro che avevano ascoltato la lettura della lezione di Platone
Sul Bene. Ciascuno infatti vi era andato supponendo che ne avrebbe ricavato
uno di quelli che tra gli uomini sono ritenuti beni, come la ricchezza,
la salute, la forza e, in generale, una qualche meravigliosa felicità.
Ma quando apparve chiaro che i discorsi vertevano sulla matematica e sui
numeri, sulla geometria e sull’astronomia, e culminavano nella tesi che
uno è il bene, certamente, penso, ciascuno degli ascoltatori ebbe
un’impressione di qualcosa di paradossale: e così alcuni disprezzarono
quella trattazione, altri la criticarono”. Aristotex., Harm. 2 p. 30, 16-31,
3 Macran, in Aristotele, Opere, Universale Laterza, Bari 1973, p. 233
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Un Demiurgo, cioè un Dio-artefice,
pensante e volente, usando il modello fornito dal mondo delle Idee, plasma
la materia (chora),
generando il mondo fisico per bontà.
Esso è eterno, come è eterno l’Iperuranio,
il mondo delle Idee.
Il Demiurgo dota il mondo di un’anima e di un’intelligenza
perfette, oltre che di un corpo perfetto. L’opera creata dal Demiurgo,
è la più bella e la più buona possibile e perciò
non è corruttibile, quindi eterna.
Perciò il mondo, la natura, è
cosmo, cioè ordine, infatti Dio, compiuta ogni cosa con esattezza,
collocò ovunque proporzione ed armonia.
L’antica concezione pitagorica del cosmo subisce
quindi un’evoluzione profonda.
La fortuna dei dialoghi platonici contribuirono
alla diffusione delle teorie pitagoriche sulla sfericità della Terra,
e sul movimento dei pianeti da ovest verso est.
L’influenza che il platonismo ebbe, soprattutto
durante il periodo rinascimentale, si realizzerà in una sua modificazione,
il neoplatonismo. Molti studiosi di epoca posteriore crederanno fortemente,
ponendo questo pensiero come base ontologica, ad un ordine matematico dell’universo.
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Eudosso e le sfere omocentriche
Nacque a Cnido, in Asia Minore, nel 408 a.C.
c.ca, e morì intorno al 355 a.C. Ventenne fu allievo di Platone,
ma preferì ben presto ampliare la sua conoscenza andando in Egitto,
raccomandato dal re spartano Agesilao al re egiziano Nectanebo I. Era il
378 a.C. e qui fu istruito da un sacerdote di Eliopoli.
Si narra che gli fosse stata profetizzata una
vita breve, ma celebre, e tale fu, infatti divenne
uno dei matematici greci più illustri. (37)
Si dedicò allo studio dell’astronomia,
ed ai problemi ad essa connessi, anche su incitamento di Platone, che gli
chiese espressamente di risolvere i problemi riguardanti i moti planetari.
Pensò quindi un sistema cosmico, adeguato
alle conoscenze sui fenomeni celesti della sua epoca, considerato ai nostri
giorni di una grande raffinatezza matematica, che non fu però apprezzato
nel passato, forse non capito o non specificatamente conosciuto.
Dobbiamo allo studioso Schiaparelli (38),
che vi si dedicò alla fine del XIX secolo, se oggi possiamo goderne
la bellezza.
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Partendo da una concezione geocentrica, giustificò
l’orbita circolare dei pianeti, del Sole e della Luna, tramite alcune sfere,
sistemate in modo concentrico.
(37) Si ritiene che
dobbiamo quasi interamente a lui il libro V di Euclide.
(38) G. Schiaparelli, Le sfere
omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele, Pubblicazioni del
R. Osservatorio di Brera, N. IX, Milano 1875. Sull’argomento scrive anche
Heath in Aristharcus of Samos, Oxford 1913
Poiché una sola sfera non bastava per spiegare
il moto astrale, Eudosso ipotizzò,
che un numero di quattro sfere definisse l’orbita di ciascun pianeta, mentre
tre quello del Sole e della Luna. (39)
In conseguenza della loro disposizione le sfere sono “omocentriche”
e raggiunsero un totale di ventisei,
che verrà aumentato a trentatre dal suo discepolo Callippo. E’ importante
il fatto che quest’ultimo ritenne necessario verificare i dati teorici,
servendosi dei fatti osservati, e modificare quanto ipotizzato entro la
precisione possibile.
Le sfere che muovevano i pianeti erano indipendenti
dalle altre, e le stelle fisse avevano una sola sfera, che realizzava la
rotazione diurna del cielo, e che ne aumentava il numero a ventisette.
Non ci è giunta notizia sulla natura delle sfere, concepita da Eudosso,
e non sappiamo se esse furono solo un’espressione matematica o realtà
fisiche.
La modifica, apportata da Callippo, servì
per confermare i calcoli matematici. Lasciò intatte le teorie su
Saturno e su Giove, probabilmente perché non si era accorto della
diversità dell’ellissi, oppure perchè non era stato in grado
di dare una risposta soddisfacente. Corresse invece la teoria di Marte
per spiegare il moto retrogrado. Aristotele ritenne valido il sistema esposto
e da esso partì per le sue considerazioni in campo astronomico.
(39) Eudosso sostenne
che il movimento di traslazione sia del Sole che della Luna si compiva
nell’ambito di tre sfere, la più esterna delle quali era quella
delle stelle fisse; la seconda era quella che si muoveva nel cerchio che
bisezionava longitudinalmente lo zodiaco, mentre la terza era quella che
si muoveva in un cerchio inclinato attraverso la latitudine dello zodiaco,
ma il cerchio secondo cui si spostava la Luna era inclinato secondo un
angolo che era maggiore rispetto a quello del cerchio secondo cui si spostava
il Sole. Il moto di traslazione di ciascun pianeta si attuava attraverso
quattro sfere, le prime due delle quali identiche alle prime due del Sole
e della Luna, infatti, la sfera delle stelle fisse era quella che imprimeva
il movimento a tutte le altre sfere, e quella che era disposta in ordine
dopo di essa e che compiva la propria traslazione nel cerchio che bisezionava
lo zodiaco, ed era comune a tutti i pianeti. La terza sfera di tutti i
pianeti aveva invece i suoi poli nel cerchio che bisezionava lo zodiaco,
ed infine, la quarta sfera compiva la traslazione lungo un cerchio che
era inclinato in rapporto all’equatore della terza; per quanto riguarda
la terza sfera inoltre, mentre ciascuno dei pianeti aveva poli propri,
Afrodite ed Ermes avevano entrambi i medesimi poli. Questa spiegazione
ci è fornita da Aristotele nel XII libro della Metafisica, 1073b,
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Le
sfere omocentriche di Eudosso
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Il moto della Luna secondo Eudosso.
La Luna si
trova sull'equatore della sfera più interna, che compie una rotazione
col periodo di un mese.
I poli di questa
sfera sono incastonati nella sfera di mezzo, che compie una rotazione ogni
18,6 anni - un ciclo familiare dalla registrazione delle eclissi - …
... questa
ha a sua volta i poli fissati sulla sfera più esterna, che ha una
rotazione diurna. »
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(*)
a cura di Michael Hoskin – “Storia dell’astronomia di Cambridge”
– Rizzoli – 2001 |