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Anassimene, discepolo di Anassimandro, visse a Mileto nel VI secolo. 

Pensa a un principio che debba essere infinito, ma corrispondente all’aria, sostanza aerea illimitata. “Proprio come la nostra anima, che è aria, ci sostiene e ci governa, così il soffio e l’aria abbracciano il cosmo intero” (11). 

Per Anassimene le stelle, di natura ignea, si muovono intorno alla Terra e sono “chiodi” (12) nella volta celeste, che è costituita da una sostanza “solida, cristallina”, ma non conosciamo la forma che le attribuiva. Sappiamo però che pensava che il Sole e le stelle al tramonto si nascondessero dietro la parte più alta e settentrionale. 

Il cielo invece si muoverebbe attorno alla Terra, come si fa girare un cappello intorno alla testa (13), per questo gli studiosi hanno pensato che attribuisse alla Terra una forma emisferica, mentre Aristotele afferma che conferiva alla Terra la forma piatta, con la quale giustificava peraltro l’immobilità di questa. (14) 


(11) Aezio, I, 3, 4 
(12) Aezio, II, 14, 3 
(13) Cfr. Ippolito, Refutatio contra omnes haereses, I, 6 
(14) Assieme ad Anassimene, anche Anassagora e Democrito sostenevano la stessa tesi. Aristotele, De caelo 294b, 14. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Le stelle sono respinte indietro dall’aria condensata e resistente, ci dice, e questo forse significa che l’aria regge i corpi celesti e protegge la Terra da un eventuale loro impatto. 

Esse sono poste a grande distanza e non ci fanno giungere il proprio calore, mentre il calore del Sole è prodotto dal suo moto. 

Secondo Teone di Smirne, Anassimene conosceva la causa dell’eclissi lunari, e sapeva che la Luna viene illuminata dal Sole. 

Plinio sostiene invece che questi inventò lo gnomone, già conosciuto dai Babilonesi, e a Sparta mostrò lo Scioterione, il quadrante  
solare (15). 

Pensava, che il terremoto avesse una causa differente da quella proposta da Talete, giustificandolo con le forti alterazioni della terra, sottoposta a riscaldamento e raffreddamento. 

Riteneva inoltre che l’intera realtà fosse generata dalla variazione quantitativa dell’aria, dalla sua contrazione e condensazione o dilatazione ed espansione. Un perenne movimento creerebbe l’esistente, introducendo così una causa dinamica di cui Talete non aveva parlato, e Anassimandro aveva determinato in riferimento a concezioni orfiche. 

La dinamicità della causa, che Anassimene coglie come base del reale, e la sua costruzione, determinata logicamente, fece di questo autore un punto di riferimento per il pensiero successivo. 


(15) Plinio, Naturalis historiae, II, 187. 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 

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Eraclito di Efeso vissuto tra il VI e il V secolo a.C. scrisse un libro Sulla natura, di cui ci sono pervenuti molti frammenti, composto in modo criptico, con l’intento forse di imitare gli scritti oracolari, affinché non avesse carattere divulgativo, ma fosse accessibile solo a coloro che avevano la possibilità di comprenderlo, e che gli fece conferire il titolo di “oscuro”. 

L’idea che nulla è in quiete, cioè il dinamismo universale già colto dagli Ionici, diviene il fulcro del pensiero eracliteo. 

Disprezzò le dottrine precedenti, la matematica e l’astrologia dei pitagorici, che egli comprese nella parola polimathìa. 

La realtà è, secondo lui, in continuo divenire perché tutto si muove, tutto scorre (16) (panta rei), il mutamento e il cambiamento sono incessanti, è un passaggio vicendevole da un contrario ad un altro. Tra i contrari vi è quindi una “guerra” (17) che si rivela essenziale; infatti polemos è “padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.” (18) 

D’altra parte però, secondo Eraclito, ciò che è opposizione si concilia e dalle cose differenti nasce l’armonia più bella, e tutto si genera dai contrasti. Coloro che non sanno “non capiscono che ciò che è diverso concorda con se stesso; l’armonia dei contrari, come l’armonia dell’arco e della lira”. 
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(16) Diogene Laerzio, IX, 8 
(17) Ibidem. La guerra è polemos in greco. 
(18) I presocratici, op. cit., p. 208 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Questa armonia, unità degli opposti è il divino: “il dio è giornonotte, è inverno-estate, è guerra-pace, è sazietà-fame”. Poté quindi sostenere che “noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo” (19), intendendo con sottigliezza che per essere dobbiamo non essere più. 

Il principio di Eraclito è il Fuoco, da cui tutto deriva e a cui tutto torna: ”Tutte le cose sono uno scambio del fuoco”, ma quest’ordine non fu creato né da dio né dagli uomini, “esso è sempre, e sarà fuoco eterno”. Il fuoco diviene acqua e da questa si genera la Terra. 

La rappresentazione del Sole è data da esalazioni umide sorte dalla Terra, che vengono intrappolate entro un recipiente concavo, e s’incendiano quando il recipiente sorge a Levante e si spengono quando tramonta a Ponente. 

Anche la Luna è un catino contenente fiamme, ma ha meno splendore, poiché la luminosità è ostacolata da un’aria più densa, mentre le stelle emanano una luce fioca a causa della grande distanza. Le eclissi sono causate dal corso di questi catini, che durante il loro cammino volgono la parte non luminosa verso la Terra. 

Il mondo di Eraclito è conflitto e mutamento, ma in esso vige l’ordine, secondo l’originaria definizione di cosmo. In esso domina la Dike, la Giustizia, e i suoi ministri, le Furie, che hanno il compito di controllare i contrari e gli astri. 
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(19) Eraclito,Allegoriae Homericae, 24 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Il principio che regola l’universo è però il Logos, termine che ha numerosi significati e a cui il filosofo diede per primo un senso profondo, tanto da divenire legge, perché dio stesso, intelligenza che governa e domina tutto, che si identifica col fuoco eterno e semprevivo. 

Questo fuoco non è l’elemento visibile a noi conosciuto, è sempre vivo, ma mutabile, poiché si trasforma in ogni cosa ed ogni cosa può trasformarsi in esso. In tal senso possiamo coglierne la mortalità. Questa intelligenza, che tutto governa, è il principio della vita umana e universale. 

Con l’invasione da parte dei Persiani (546), la Ionia subì un colpo da cui non si risollevò, e sede culturale divennero le città dell’Italia meridionale. 

La scuola eleatica 

Ebbe sede in Campania presso la città di Elea, colonia dei Focesi, i quali furono costretti ad abbandonare la Sardegna sotto la pressione dei Fenici e degli Etruschi. 

La critica è in dubbio sulla fondazione della scuola da parte di Senofane, riconosciuta dalla tradizione antica. Certo questo autore ne fu un esponente. Tra i nomi illustri che ne fecero parte prenderemo in considerazione quest’ultimo e Parmenide. 
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